http://www.ctrlmagazine.it/facce-da-pfas-veneto-falda-contaminata/
Guardiamo a questa terra come a un deserto. Fabiola me lo dice mentre sfrecciamo in curva sulla strada da Lonigo a Brendola, costeggiando il profilo verde saturo dei Colli Berici. Siamo a meno di mezz’ora da Vicenza, poco più di mezz’ora da Verona, in una regione tra le più ricche di bacini sotterranei dell’intera Italia, il Veneto. Ma qui, l’acqua, non si può bere. Non perché sia vietato – e come potrebbe, nel momento in cui esce da rubinetti domestici e pozzi privati – ma perché il suo uso è sconsigliato, come indicano i segnali affissi su alcune fontanelle pubbliche, non ancora sostituiti dagli avvisi di non potabilità.
Le parole che raccontano questa storia si mescolano, si assottigliano, si confondono esattamente come i confini che la racchiudono. Parliamo del più grande disastro ambientale del Veneto, con un’area abitata da oltre 300.000 persone, servita da acqua contaminata da PFAS, PFOA e altri composti chimici meno noti. Parliamo di una vicenda piena di acronimi, diffide e silenzi, che scorre trasparente per oltre 200 chilometri quadrati, fino alle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo, raggiungendo picchi di contaminazione particolarmente alti in una trentina di comuni dell’ovest vicentino, nelle Valli del Chiampo e dell’Agno.
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